Dove devo firmare?


In realtà va riconosciuto che il titolo non è forse dei più appropriati (oltre che, probabilmente, neppure dei più accattivanti) ed impone una pronta precisazione: la firma di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, infatti, potrebbe non esserci affatto.

E’ infatti tale il favor del Legislatore nei confronti della stipulazione di contratti di lavoro a tempo indeterminato (considerati, anche dalla Giurisprudenza, la “normale” regolamentazione di un rapporto di lavoro) che vige per essi il principio della libertà delle forme (assistita, va riconosciuto, da una rigida disciplina generale, di carattere tendenzialmente inderogabile, sia di emanazione legislativa che collettiva).

Da ciò consegue che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato ben potrà intervenire di fatto; così come “di fatto”, in tali ipotesi, è anche la tutela che viene approntata in una eventuale fase patologica del rapporto.
Al riguardo è possibile ricordare, ad esempio, il disposto dell’art. 2126 Cod. Civ. il quale stabilisce che, eccezion fatta per l’ipotesi in cui l’oggetto del contratto di lavoro subordinato sia illecito (si pensi all’ipotesi del contratto di killeraggio, ad esempio) al lavoratore che abbia reso di fatto la propria prestazione a favore di un datore di lavoro, spetta, per ciò solo ed in ogni caso, la retribuzione per l’attività resa. A ciò si dovrà aggiungere che è sempre consentito al lavoratore di dimostrare dinanzi ad un Giudice le effettive caratteristiche della prestazione resa a favore del datore di lavoro, e ciò anche contro il contenuto del contratto che sia stato eventualmente sottoscritto dalle parti. Ne consegue che è, quindi, sempre possibile, per il lavoratore, dimostrare al Giudice di aver reso di fatto la propria prestazione a favore di un datore di lavoro e fornire allo stesso la ricostruzione in fatto delle caratteristiche dell’attività effettivamente resa (orario di lavoro, inquadramento nell’organico aziendale, effettive mansioni, etc.).

Ma allora, il contratto di lavoro è del tutto inutile? Assolutamente no.

Come si è detto, il principio della libertà delle forme vale per i contratti di lavoro a tempo indeterminato. Per contro, sia i patti accessori a questo tipo di contratti che tutte le fattispecie di lavoro subordinato diverse dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, sono vincolate alla sussistenza della forma scritta.

Sotto questo profilo è quindi possibile distinguere: quando la forma scritta del contratto è richiesta solamente ad probationem (come nel caso dei contratti di lavoro a tempo indeterminato) l’articolato che le parti abbiano (eventualmente) sottoscritto sarà utile ai fini della prova delle caratteristiche che le stesse hanno voluto attribuire a quel rapporto (pur sempre ferma restando la facoltà di dimostrare – anche per testimoni – lo svolgimento di una prestazione diversa rispetto a quanto dedotto nel contratto); in talune ipotesi (si veda ad es. l’art. 69 D.lgs. 276/03) il mancato rispetto dell’onere formale (ancorché richiesto solo ad probationem) può anche importare la conversione del rapporto instauratosi di fatto, in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal suo inizio; quando, invece, la forma scritta del contratto è richiesta ad substantiam dalla Legge (come in alcune ipotesi che andremo ad esaminare di seguito), il vincolo di forma è imposto a garanzia del lavoratore e la sua mancanza importa la sanzione della nullità dell’accordo raggiunto (si veda, ad esempio, il patto di non concorrenza post-contrattuale).

Tali preliminari osservazioni svelano un aspetto di caratterizzante specialità del diritto del lavoro rispetto al diritto civile: e cioè la sostanziale a-contrattualità della disciplina dei rapporti di lavoro e, di conseguenza, il minor rilievo attribuito all’autonomia delle parti nel definire, a priori ed in forma tendenzialmente stabile, il contenuto dei reciproci obblighi. Tale osservazione, senz’altro valida per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, deve considerarsi pertinente anche per quelle ipotesi in cui la Legge imponga la forma scritta ad substantiam: in tal senso, infatti, l’obbligo di forma rappresenta un prerequisito di garanzia a favore del lavoratore, ma ciò nondimeno le parti non sono legittimate a autodeterminare il contenuto della fattispecie oggetto dell’accordo (ed, infatti, il contenuto specifico delle previsioni per cui l’Ordinamento richiede la forma scritta, è, di norma, predeterminato dalla Legge o dai Contratti Collettivi).

Dopo questa (in parte tediosa) premessa è quindi possibile provare ad individuare talune specifiche fattispecie che, proprio perché vincolate al regime della forma scritta, possono richiedere una maggior dose di attenzione al momento firma. Sommariamente, potremo ricordare il patto di prova, il patto di non concorrenza e le clausole elastiche e flessibili, nonché i contratti di apprendistato, di lavoro subordinato a tempo determinato ed i contratti di collaborazione continuata a progetto (Co.Co.Pro.).
Il patto che inserisce un periodo di prova iniziale nello svolgimento del rapporto di lavoro è un tipico patto accessorio (cioé non un accordo autonomo, bensì “aggiunto” ad un più articolato contratto di lavoro).
A mente dell’art. 2096 Cod. Civ., durante il periodo di prova, sia il datore di lavoro che il lavoratore possono recedere dal contratto senza obbligo di preavviso né di indennità sostitutive. Il medesimo articolo stabilisce, poi, che il periodo di prova deve risultare da atto scritto. Ne consegue che il mancato rispetto della forma comporta l’inesistenza del patto di prova stesso, con ciò precludendo alle parti la facoltà di libero recesso dal rapporto. Egualmente per iscritto (ed egualmente a pena di nullità) dovrà essere dedotto lo specifico oggetto della prova (e quindi le mansioni affidate al lavoratore durante quel periodo): solo in tal modo sarà, infatti, possibile procedere ad una obiettiva valutazione del periodo e quindi giustificare un eventuale recesso per mancato superamento della prova.

Taluni contratti di lavoro, poi, (per la particolare sensibilità dei dati aziendali trattati nello svolgimento delle mansioni, per il rilievo e la professionalità dell’ufficio ricoperto, o solo per l’eccessivo zelo di chi li ha redatti) possono includere un patto di non concorrenza post-contrattuale. La materia è indubbiamente ampia ed articolata. Per quanto qui rileva è innanzitutto bene precisare che l’obbligo di non concorrenza durante il rapporto di lavoro è stabilito dall’art. 2105 Cod. Civ. e che pertanto, ciò che può formare oggetto di apposito accordo, è solo un obbligo di non concorrenza al termine del rapporto di lavoro.

Al riguardo, l’art. 2125 Cod. Civ. stabilisce che tale accordo deve essere precisamente delimitato quanto all’oggetto (l’attività in concorrenza che viene vietata), al luogo (l’ambito territoriale di efficacia del patto stesso) e alla sua durata (al massimo tre anni per un lavoratore di inquadramento non dirigenziale). A fronte di tale obbligo di non concorrenza, al lavoratore è dovuto un corrispettivo.

Tutti tali elementi devono risultare da atto scritto, a pena di nullità del patto di non concorrenza.

Nello specifico ambito dei contratti di lavoro a tempo parziale (i c.d. part-time), infine, potranno essere inerite le c.d. clausole elastiche e flessibili. A condizione che la loro previsione sia consentita dalla Contrattazione Collettiva di riferimento, attraverso tali clausole il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione del lavoratore (clausole elastiche) ovvero aumentarne la quantità oraria (clausole flessibili), pur nel rispetto di un preavviso minimo di 5 giorni. Anche per tali previsioni è prevista la forma scritta.

Tra i contratti, invece, per i quali la Legge richiede la forma scritta, è innanzitutto opportuno ricordare il contratto di apprendistato (D.lgs. 276/03).
Il nostro ordinamento conosce tre distinte tipologie di apprendistato (qualificante, professionalizzante, per diploma o alta formazione) tutte accomunate dall’oggetto misto del contratto: formazione professionale (sia mediante il trasferimento di competenze tecnico-scientifiche sia mediante l’affiancamento pratico per l’apprendimento di abilità operative), da un lato, e retribuzione per l’attività resa all’interno dell’azienda, dall’altro. Proprio le peculiari caratteristiche di tale contratto (è l’unico contratto di lavoro con funzione formativa presente nel nostro ordinamento) impongono il requisito di forma per la sua valida stipulazione. In particolare, al contratto, che dovrà essere in forma scritta, dovrà essere necessariamente allegato (sin dall’inizio) il c.d. Piano Formativo Individuale, ossia il programma di formazione professionale predisposto dall’azienda per il giovane lavoratore.

E’ solo il caso di precisare che, a differenza del contratto di apprendistato, il contratto di stage non è un contratto di lavoro e, quindi, non implica alcun vincolo di subordinazione. La finalità di quel rapporto è il solo addestramento professionale, strumentale all’inserimento del tirocinante nel mercato del lavoro. Tale tipo di contratto non prevede alcuna retribuzione (anche se è spesso riconosciuto un contributo in forma di semplice rimborso spese). La legge non impone alcuna vincolo formale. Tuttavia, il rischio che lo stagista, al termine del rapporto, rivendichi la costituzione di fatto di un rapporto di lavoro subordinato, induce spesso le società a predisporre un accordo scritto che funga anche da qualificazione del rapporto.

Qualora ad un contratto di lavoro sia apposto un termine finale, si avrà un contratto a tempo determinato. Il rapporto, pertanto, potrà concludersi, oltre che per le tipiche ipotesi di recesso per giusta causa e/o giustificato motivo (soggettivo e/o oggettivo) anche per il naturale decorso del termine (la cui durata massima non può, in ogni caso, superare i tre anni).

Tuttavia, dal momento che l’apposizione di un termine finale al contratto di lavoro è, come si è detto, ipotesi derogatoria ed eccentrica rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, la Legge impone che siano indicate per iscritto le ragioni di natura “tecnica, organizzativa e produttiva” che hanno determinato l’opzione del tempo determinato; tali ragioni dovranno essere specificate con dettaglio e dovranno costituire il presupposto logico-giuridico dell’assunzione “temporanea” del lavoratore.

Tuttavia, la recente “manovra d’estate” del 2008 (D.lgs 368/2008), in deroga alla previgente disciplina, ha esteso la facoltà di stipulazione di contratti a tempo determinato anche per ragioni che facciano riferimento alla “ordinaria attività del datore di lavoro”. La mancata indicazione delle ragioni giustificatrici o la loro eccessiva genericità (oltre che la prosecuzione del rapporto oltre il termine), comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’inizio del rapporto.

Attraverso un contratto di Co.Co.Pro. il committente incarica un collaboratore dello svolgimento di un progetto specifico o di un programma di lavoro o di una fase dello stesso. Non si tratta quindi di un rapporto di lavoro subordinato (come invece nei casi precedenti), bensì di un rapporto di collaborazione che, pur nel rispetto di talune specificità, si atteggia sugli istituti del lavoro autonomo (artt. 2222 Cod. Civ. e seguenti) e che può, quindi, essere inquadrato nell’ambito della parasubordinazione. L’attività è, infatti, svolta in (parziale) autonomia da parte del collaboratore il quale è libero di organizzazione il proprio tempo e le concrete modalità di svolgimento della prestazione, ed ha, nei confronti del Committente, un obbligo di risultato.

Tuttavia, l’oggetto della prestazione è determinato (a volte anche in modo molto stringente) dal Committente e l’attività del collaboratore si inserisce, in forma continuativa, nell’attività del mandante. Al fine di escludere che, attraverso un contratto di Co.Co.Pro. le parti abbiano inteso dissimulare un contratto di lavoro subordinato, la Legge ha imposto la forma scritta ad probationem del progetto. Tuttavia, la carenza di forma scritta o l’assenza di un progetto (perché eccessivamente generico o, più semplicemente, perché l’attività dedotta nel contratto non può essere ragionevolmente ricondotta ad alcun progetto), ovvero lo svolgimento di mansioni diverse da quelle indicate nel progetto, comportano la conversione, da parte del Giudice, del Co.Co.Pro. in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dal suo inizio.
In conclusione, appare evidente che le “cose da sapere” al momento della sottoscrizione di un contratto di lavoro (quale esso sia) sono molte e che quelli offerti non sono che pochi spunti di riflessione. Tuttavia la normativa estremamente dettagliata e la Giurisprudenza assai attenta, hanno, oramai da tempo, spiegato un ampio ventaglio di tutele per il lavoratore, sia in fase esecuzione che in fase di cessazione del rapporto di lavoro. Il buonsenso, e, quando occorre, il supporto di un tecnico, possono aiutare ad individuare le possibili imprecisioni di un modello contrattuale, ovvero individuare la migliore soluzione per il componimento di un conflitto.

Emiliano Ganzarolli

Foto di Aldoaldoz

Il presente articolo è la trasposizione dell’intervento svolto dall’avvocato Emiliano Ganzarolli in data 3 dicembre 2009 in occasione di Job Meeting MILANO.


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