Se potessi avere 1000 euro al mese

Questa è la prima generazione che starà peggio di quella precedente, sentenziavano due ricercatori della Banca d'Italia già nel 2007. E la situazione oggi, nel gorgo della crisi globale, non è certo migliorata, anzi.

Per fare il punto su questo, abbiamo incontrato Eleonora Voltolina, giornalista e fondatrice della Repubblica degli Stagisti che ha da poco dato alle stampe il suo ultimo libro "Se potessi avere 1000 euro al mese. L'Italia sottopagata."

Quali sono, Eleonora, le professioni più colpite dal livellamento al ribasso dei salari all'ingresso?

Purtroppo, il ribasso delle condizioni di lavoro e di stipendio è trasversale praticamente a tutti i settori, non risparmia nessuno. Accanto infatti alle professioni dove ormai si sa che le prospettive di guadagno sono minime - cioè sopratutto le professioni legate alla cultura, alla conoscenza, all'arte, allo spettacolo, alla comunicazione, al giornalismo - ormai si possono elencare anche professioni blasonate, che una volta erano ritenute una garanzia non solo di prestigio sociale ma anche di alti guadagni.

Ci puoi fare qualche esempio?

Un capitolo del libro si intitola "Medicina, la professione è ammalata" e solleva il velo sulla situazione incredibile di migliaia di laureandi e laureati che lavorano di fatto nei nostri ospedali, accolgono i malati al pronto soccorso e nei reparti di tutta Italia, visitano, curano, compilano cartelle. Il tutto senza essere assunti, senza avere uno straccio di contratto nè tantomeno uno stipendio. Come se fossero dei volontari. Lo fanno perchè oltre il 90% di chi si laurea in Medicina poi prosegue attraverso la specializzazione, per diventare pediatra, ginecologo, chirurgo, anestestista e così via. Ma i posti sono limitati, vengono assegnati una volta all'anno, e nell'attesa questi giovani vanno a prestare servizio gratuitamente, nella speranza di guadagnarsi la fiducia del primario e degli strutturati del reparto dove vorrebbero entrare a fare la specializzazione. Questo periodo di sfruttamento si chiama "internato", e può durare da pochi mesi a molti anni.

La gavetta sembra non finire mai, soprattutto per chi ha la pratica obbligatoria. Come se ne esce?

La pratica, o meglio oggi si preferisce definirlo il "tirocinio professionale per l'accesso alle professioni regolamentate", è un periodo di formazione obbligatoria per l'ingresso in molte professioni: le più comuni sono l'avvocato e il commercialista. Il 2012 ha portato importanti novità, riducendo (non per chi lo sta già facendo, ma per chi lo comincerà d'ora in poi) la durata a un massimo di 18 mesi e permettendo quindi agli aspiranti avvocati di risparmiare 6 mesi (da 24 mesi a 18) e agli aspiranti commercialisti addirittura un anno e mezzo (da 36 mesi a 18). Inoltre i primi 6 mesi di praticantato potranno essere svolti ancor prima di laurearsi, e anche questo rappresenterà un bel risparmio di tempo. E' stato poi stabilito per legge che, dopo i primi 6 mesi, i professionisti dovranno obbligatoriamente erogare un compenso forfettario mensile ai propri praticanti. E anche questo è un bel passo avanti. Certo, i problemi non si fermano qui: si pensi solo che un giovane avvocato nei primi anni di esercizio della professione - quindi dopo la laurea, il praticantato e il superamento delle due prove dell'esame di Stato, scritta e orale) guadagna mediamente solo 10mila euro all'anno, solo 800 euro al mese. Ma per quanto riguarda specificamente la questione del periodo di praticantato, dobbiamo ammettere che qualche passo avanti è stato fatto.

La riforma Fornero sta cercando di mettere ordine nel mondo delle partite Iva, come giudichi le proposte?

Il disegno di legge Fornero è complessivamente interessante, anche se personalmente avrei preferito una semplificazione più sostanziale delle tipologie contrattuali e un'apertura dell'Aspi anche ai parasubordinati. Focalizzandoci sulle partite Iva, il testo del governo prevedeva che dovessero essere considerate genuine solo a patto che la collaborazione tra freelance e committente non risultasse troppo lunga e continuativa (più di sei mesi nell'arco dell'anno), che non rappresentasse la principale o addirittura unica fonte di reddito per il freelance (più del 75% del suo reddito annuale) e che non comportasse una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente. Ora però in Commissione Lavoro al Senato sono passati dei correttivi non positivi. I sei mesi sono diventati otto, il 75% del reddito è aumentato all'80%, la postazione ora conta solo se "fissa". Ma sopratutto, vengono escluse dal raggio di azione di questi paletti di controllo di genuinità tutte le collaborazioni a partita Iva connotate da "competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività", cioè quasi tutte. E inoltre viene tagliato fuori chiunque sia "titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali". Vale a dire che un reddito annuo di 18mila euro basterà per "provare" che un lavoratore a partita Iva sia davvero autonomo, a prescindere dalle condizioni in cui lavora. Ma attenzione, i 18mila euro si intendono lordi: cioè sì e no mille euro netti al mese. Una miseria, un vero freelance non dovrebbe guadagnare così poco. Trovo triste che la misura di contrasto alle false partite Iva contenuta nella riforma Fornero sia stata depotenziata in maniera così netta. Un tetto di reddito accettabile sarebbe stato 40mila euro: 18mila sono davvero troppo pochi.

Raffaella Giuri

29 maggio 2012


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