Se in tempo di crisi si risparmia sulla semina

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Per ripartire dobbiamo tornare ad investire nel futuro. Occorre “seminare” nella formazione – e universitaria in particolare - per poter “raccogliere” giovani preparati e competitivi.

Oggi che la crisi ha alzato il livello di concorrenza nel mercato del lavoro, perché ci sono più candidati per un numero minore di posti, è ancora più urgente risolvere alcuni nodi storici. Partiamo da questi: livello di scolarizzazione, internazionalizzazione, mobilità. Ne abbiamo parlato con Andrea Cammelli, fondatore e direttore del consorzio interuniversitario Almalaurea.

Il nostro Paese è agli ultimi posti per livello di scolarizzazione, come si spiega? E' più una questione culturale o economica?

“Il ritardo dell’Italia ha radici antiche e profonde; ancora oggi 75 laureati su cento portano a casa per la prima volta la laurea. E’ la conseguenza della bassa scolarità di terzo livello della popolazione adulta: solo 9 italiani su cento di età 55-64 anni vantano un titolo di studio corrispondente (meno della metà di quanto avviene nel complesso dei Paesi OECD). Forse proprio questa diffusa soglia educazionale di basso profilo è all’origine della difficoltà a comprendere appieno il ruolo strategico degli investimenti in istruzione superiore e in ricerca per lo sviluppo del Paese e per la competizione mondiale. Se non si comprende questo e quindi non si spende di più e meglio in istruzione di terzo livello continueremo a rimanere fanalino di coda tra i Paesi più sviluppati”.

La riforma universitaria ha funzionato? Ci sono più laureati e più giovani? Ha formato figure professionali più competitive per il mercato del lavoro?

“Nonostante i tanti luoghi comuni e le lamentazioni di chi rimpiange i tempi passati, amplificati da campagne mediatiche liquidatorie nei confronti della riforma, le evidenze empiriche parlano di un processo che comunque ha raggiunto alcuni importanti obiettivi. Intanto, si è allargato l’ingresso agli studi universitari a giovani provenienti da ambienti socio culturali meno favoriti. E poi escono dall’università laureati più giovani, più regolari e assidui alle lezioni e che possono vantare, più dei colleghi pre-riforma, di un maggior numero di esperienze di stage; purtroppo non è così per le esperienze all’estero. Queste caratteristiche, associate a maggiori conoscenze linguistiche e informatiche, rappresentano un importante biglietto da visita per essere più competitivi nel mercato del lavoro ormai di livello europeo. Le buone premesse ci sono. Ma è chiaro che la crisi in atto, che ha raggiunto pesantemente anche i laureati, falsa ogni attendibile valutazione sugli esiti della riforma rispetto all’inserimento professionale del capitale umano formato”.

La riforma ha anche moltiplicato i corsi di laurea, orientando verso la specializzazione. Come giudica questa scelta?

“Il numero di corsi è cresciuto, ma si è anche modificata l’articolazione dei percorsi di studio. Il rischio, più che della specializzazione, è stato quello di un’eccessiva frammentazione dei saperi e di disorientamento nella scelta universitaria da parte dei giovani. Per fortuna si sta correndo ai ripari rispetto agli eccessi. In molti Atenei è in atto un processo di razionalizzazione positivo, sollecitato dallo stesso Ministero. Nuovi corsi specialistici andrebbero attivati laddove c’è un’attività di ricerca o particolari esigenze del tessuto economico del territorio, ma anche tenendo conto di una visione internazionale. Perché il mercato del lavoro, soprattutto per il capitale umano ad elevata qualificazione, è sempre più ad orizzonti allargati”.

Dopo laurea triennale sono molti coloro che scelgono di proseguire con una laurea magistrale che spesso però scelgono nella stessa città, facoltà e nello stesso indirizzo. Non sarebbe forse meglio fare una scelta diversa?

“Sì, la mobilità andrebbe incentivata, rappresenta un tassello importante della riforma in cicli. Anche se il fenomeno non è generalizzabile, su questo siamo indietro: l’85 per cento dei laureati triennali prosegue la specialistica nello stesso Ateneo, un valore certamente elevato. Qui bisognerebbe intervenire, in modo particolare con politiche per il diritto allo studio oggi ancora carenti”.

Raffaella Giuri

Foto di Skiwalker79


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