“Il terzo settore è in crescita e in continuo cambiamento”

“Nonostante i continui tagli e il disinvestimento del settore pubblico, il terzo settore in Italia è in crescita. La società civile, organizzandosi e mobilitandosi cerca di sopperire alle mancanze dello Stato”, così Marco De Ponte, giovane Segretario Generale di Actionaid Italia, delinea il quadro del no profit italiano. “Contrariamente a quanto succedeva fino a dieci anni fa, le piccole organizzazioni sono sempre più sotto pressione, proprio come i piccoli negozi o le piccole aziende. Oggi si privilegiano i processi di aggregazione e di professionalizzazione. Actionaid è un po’ il simbolo di questo passaggio”.

“Se non ti professionalizzi, non riesci a crescere”. Con questa affermazione De Ponte sottolinea come sia cambiato il mondo del no profit. Per lavorare all’interno del terzo settore non è più sufficiente avere buona volontà o essere ancorato a dei principi. “L’idea della cooperazione intesa come aiuto e come volontarismo è ormai superata”. Oggi le figure professionali del settore no profit sono tanto qualificate quanto quelle del settore privato.

“La mia storia, come quella di molti, è stata inizialmente un intreccio molto forte tra l'impegno sociale e il lavoro vero e proprio”. La laurea in Scienze politiche, il master in difesa dei diritti umani in Inghilterra, e diverse esperienze in organizzazioni umanitarie in Italia e all’estero sono le tappe di un percorso che lo portano ad assumere a soli 30 anni il ruolo che ancora oggi ricopre.

ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alle cause della povertà e dell’esclusione sociale. La sede italiana è parte del network internazionale di ActionAid, che conta 43 sedi nazionali nel mondo.

Nel 2001 l’ong era “una realtà giovane ma con molto potenziale”, con uno staff di 17 persone e circa 55.000 sostenitori. Oggi, tra le sedi di Milano, Roma e lo staff che collabora in altre 5 province si contano 95 tra dipendenti e collaboratori, e 150.000 sostenitori economici (oltre alle 20.000 persone che si impegnano in diverse attività senza offrire sostegno economico).

Actionaid, - dice De Ponte, “ogni anno è cresciuta un po’, e con la sua crescita sono cambiate anche le figure professionali richieste. Più che di crescita parlerei di una significativa trasformazione, che ha investito dimensioni economiche, staff, processi di internazionalizzazione, la capacità di un impegno di policy e advocacy e di produrre mobilitazione sociale”.

Non esiste un pacchetto preconfezionato per riuscire ad entrare nelle principali organizzazioni non governative o che ruotano intorno ai temi sociali, ma si può parlare di elementi che ne predispongono l’accesso. Base motivazionale, attivismo vissuto come esperienza formativa, preparazione di base, capacità di lettura del contesto e di ricezione di idee e stimoli dall’esterno, skills specifici e allo stesso tempo gestionali, volontà di contraddistinguersi e di non seguire logiche di pensiero ( e di lavoro) precostituiti sono le carte in regola per far parte di Actionaid.

Il processo di recruiting della ong avviene in modo trasparente, è aperto a tutti, e si basa sulla meritocrazia. “In tutti questi anni”, dice orgogliosamente Marco, “non è mai capitato che un nostro collaboratore venisse assunto perché amico o parente di qualcuno. Questo rappresenta una garanzia non solo per chi è già parte della squadra, ma anche per il nuovo arrivato, perché ha in questo modo la piena legittimazione a fare del proprio meglio essendosi guadagnato i gradi sul campo”.

I profili maggiormente richiesti oggi sono quelli dell’area del management e del marketing. Un marketing però che va oltre i confini classici e alle attività di fundraising, perché mira a raggiungere un livello superiore: quello di “vendere idee, non prodotti materiali”. Lo scopo dell’investimento sulle attività di advocacy e di mobilitazione sociale è quello di perseguire un cambiamento sostenibile e consapevole.

Qualche consiglio agli aspiranti operatori del terzo settore?

“Privilegiare i canali di ingresso verso organizzazioni sane e ben strutturate anche se con ruoli più junior, anche di tipo operativo o di supporto, piuttosto che ricoprire una posizione apparentemente più affine alle proprie aspirazioni, ma all’interno di realtà destrutturate. Il rischio che si corre infatti è quello di finire per fare di tutto, senza riuscire a specializzarsi e a professionalizzarsi”. E’ fondamentale anche “tenere le orecchie tese, porsi delle domande, non limitarsi, cercare di attingere idee e ispirazione da diversi settori”.

E’ importante che un giovane neolaureato riesca ad entrare nel mondo del lavoro con un’esperienza qualificante alle spalle, così com’è altrettanto importante essere giovani professionisti flessibili e aperti, senza pretendere di ricoprire le posizioni più alte al primo impiego, anche se in possesso dei migliori titoli.

Elena Merli

16 agosto 2011


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