Ancora troppo pochi i laureati

Pochi laureati con scarse prospettive occupazionali e un mercato del lavoro che non premia la specializzazione nel lungo periodo . Sono questi alcuni dati interessanti emersi dal XIV Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, documento annuale del consorzio interuniversitario, presentato qualche giorno fa a Roma.
L’indagine è stata condotta su 400mila laureati dei 57 atenei aderenti ad Almalaurea nel 2011 (a febbraio 2012 sono diventati 64), di cui: 186mila che hanno conseguito il titolo – di primo livello, specialistico e a ciclo unico - nel 2010, intervistati a un anno dalla laurea; 53mila laureati del 2008, interpellati a tre anni di distanza e, infine, 22mila intervistati a cinque anni dall’acquisizione del titolo di “dottore”, che rientrano, però, nel cosiddetto vecchio ordinamento.

Il rapporto fotografa innanzitutto una percentuale di disoccupazione giovanile a gennaio 2012 pari al 31% (confermando i dati Istat): per i laureati triennali il tasso è salito dal 16 dello scorso anno al 19%, per quelli specialistici dal 18 al 20%, mentre per i laureati a ciclo unico è passato dal 16,5 al 19%. Parallelamente, il lavoro è sempre più precario e le paghe al ribasso: dal 2009 al 2010 le retribuzioni sono passate, per i laureati di primo livello, da 1.180 a 1.105 euro netti mensili; da 1.107 a 1.080 per quelli di secondo livello e da 1.110 a 1.050 per i laureati dei corsi a ciclo unico.

Niente di nuovo sotto al sole, da questo punto di vista. Uno degli aspetti più significativi è che, malgrado i nostri laureati siano pochi nel confronto con i principali paesi OCSE, fanno comunque fatica a essere assorbiti dal mercato lavorativo nazionale. L’Italia ha, infatti, 20 laureati su cento nella fascia d’età 25/34 anni rispetto a una media OCSE del 37. C’è di più: se al momento dell’ingresso del mondo del lavoro sono favoriti i giovani che hanno svolto percorsi più specifici e professionalizzanti, nel lungo periodo essi rischiano, invece, di essere penalizzati.
Questo soprattutto perché mancano adeguati investimenti in formazione, sia nel mondo universitario che in quello lavorativo. Nei nostri atenei, le risorse destinate a istruzione universitaria e ricerca si sono assottigliate. L’Italia destina all’istruzione universitaria solo l’1% del PIL, rispetto, ad esempio, all’1,4% della Francia, e a ricerca e sviluppo l’1,26%, contro il 2,21% dei cugini d’oltralpe. Ma la domanda di laureati e di “dottori” sempre più specializzati è legata anche, secondo lo studio, alle caratteristiche delle nostre imprese: più il contenuto tecnologico delle produzioni è elevato e maggiore è il livello di istruzione del datore di lavoro, più ci sono possibilità che un laureato venga assunto. Nello specifico, le aziende con titolari in possesso della laurea occupano il triplo di laureati rispetto alle altre.

Cosa fare? Un punto di partenza, secondo Almalaurea, può essere il sistema universitario e formativo: “La sfida di fronte alla quale ci troviamo, in virtù della rapida obsolescenza della conoscenza e dell’allungamento della vita lavorativa, è quella di costruire sistemi di istruzione in grado di generare capitale umano adattabile, in quanto tale formato su competenze sufficientemente generali e trasversali, e di realizzare strumenti di lifelong learning in grado di accompagnare il lavoratore lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Una sfida che per l’Italia si aggiunge a quella dell’innalzamento della soglia occupazionale”. Basterà?

Chiara Del Priore

13 marzo 2012

Foto di NathanCongleton


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