Sempre più studenti-lavoratori gli universitari europei

Prima il dovere, poi il piacere. Non c’è detto più appropriato per descrivere la condizione attuale della maggior parte dei giovani italiani ed europei, fotografata dalla IV indagine Eurostudent sulle “condizioni economiche e sociali della vita dello studente europeo”. Dall’analisi, relativa al triennio 2008/2011 e condotta su universitari di 25 paesi europei, emerge un contatto sempre più precoce dei giovani con il mondo del lavoro.
In più della metà degli stati presi in considerazione, quattro studenti su 10 conciliano università e lavoro, e l’Italia è perfettamente in linea con questa tendenza:nel nostro Paese la percentuale è del 39%. A prevalere è il lavoro saltuario rispetto a quello continuativo (fa un “lavoretto” occasionale il 23,2% del campione, rispetto al 16,4% che ha un’occupazione fissa). A spingere i giovani alla ricerca di un lavoro è soprattutto una motivazione economica, ma non solo: il 41% degli studenti di condizioni sociali più svantaggiate lavora durante gli anni universitari. Tuttavia, anche il 29,8% di quelli iscritti all’università e provenienti da un contesto economico più favorevole ha un’occupazione, saltuaria o fissa.
Questo significa che il “lavoretto” non serve solo ad arrotondare per coprire le spese, ma talvolta è anche un modo di rendersi indipendenti dalla famiglia, al di là della ragione economica.
Studio e lavoro, poi, occupano buona parte del tempo dei giovani universitari: oltre 47 ore settimanali degli studenti italiani vanno via tra lavoro e corsi ed esami, di cui 41 circa per lo studio e oltre sei per il lavoro. Una “prova” concreta utile senz’altro a sfatare il diffuso mito del giovane scansafatiche.
Molti ragazzi, poi, riprendono l’università dopo un periodo di interruzione, dedicato al lavoro: in Italia il 24% degli studenti non si è iscritto subito all’università, ma ha rimandato l’immatricolazione a un momento successivo. In particolare, il 13% si è immatricolato dopo almeno due anni, mentre il restante 11% si è iscritto dopo un anno. Un comportamento simile a quello dei “colleghi” di Germania, Austria e Svizzera. Per quanto riguarda il resto d’Europa, invece, lo stop dopo il diploma è piuttosto frequente nel nord Europa, mentre avviene di rado nell’Europa meridionale.
Di certo sono la crisi e la difficoltà sempre più frequente di “mantenersi” all’università i motivi principali di questa tendenza, ma è da segnalare anche la forte motivazione a portare avanti due attività impegnative come lo studio e il lavoro. E la fiducia in entrambe: accanto al lavoro, non è trascurabile il fatto che in 10 paesi dell’indagine, oltre due studenti su tre ritiene comunque fondamentale l’università per completare sia la propria formazione che la crescita personale. Un buon segnale, in una fase dominata dalla disoccupazione e dalla sfiducia sul valore del titolo accademico.

Chiara Del Priore

20 dicembre 2011

Foto di Zoetnet


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