Apprendistato: le novità del Testo Unico

Lo scorso 10 ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Testo Unico dell’apprendistato (decreto legislativo 167/2011), che entra in vigore a partire dal prossimo 25 ottobre. Già nel mese di maggio il Governo aveva elaborato uno schema di Testo Unico, con l’obiettivo di creare un’unica disciplina, più semplificata - sette gli articoli del T.U. - per una materia finora regolamentata in maniera frammentaria.

La prima legge a riguardo risale al 1955 (legge 25/1955), per poi passare alla legge Treu (196/1997) e alle più recenti Moratti (legge 53/2003) e Biagi (decreto legislativo 276/2003). Gli ultimi riferimenti normativi sono le leggi 247/2007 e 183/2010.

Cosa cambia con il Testo Unico? Innanzitutto la definizione del contratto di apprendistato: la nuova normativa parla di “contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato all’occupazione dei giovani”. Le disposizioni precedenti etichettano l’apprendistato come un lavoro subordinato a “causa mista”, in cui si affiancano attività lavorativa e formazione. Il Testo mette, quindi, l’accento sull’obiettivo dell’apprendistato, cioè quello di favorire l’inserimento lavorativo delle giovani generazioni nella maniera più immediata possibile. Non cambiano, invece, le tre tipologie già previste dalle vecchie norme:

  1. apprendistato per la qualifica professionale, destinato a giovani di almeno 15 anni e di durata non superiore ai tre anni, valido per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione;
  2. apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, per i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni, finalizzato al conseguimento di una “qualificazione contrattuale”
  3. e, infine, l’apprendistato di alta formazione e ricerca, per “attività di ricerca o per il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario superiore, di titoli di studio universitari o dell’alta formazione”. Ad esempio, in quest’ultima tipologia sono compresi anche i dottorati di ricerca e il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.

Un’altra novità importante riguarda i soggetti coinvolti nella regolamentazione dell’apprendistato, rimessa alle Regioni, in sintonia con gli “appositi accordi interconfederali ovvero i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale”, così come previsto dall’art.2 del Testo Unico. Il contrasto Stato-Regioni per la disciplina della materia è stata una delle principali criticità della legislazione tuttora in vigore. La durata massima per un apprendistato passa, infine, da sei a tre anni, tranne per le figure professionali dell’artigianato, per le quali il limite è di cinque anni.

Lo scopo, dunque, è quello di semplificare per rivalutare una tipologia di contratto di lavoro, che finora non sembra aver avuto molto successo: l’ultimo rapporto di monitoraggio sull’apprendistato, realizzato dal ministero del Lavoro, in collaborazione con Isfol, rileva nel 2009 (ultimo anno di riferimento) una diminuzione dei contratti di apprendistato dell’8,4% (591mila 800 apprendisti) rispetto all’anno precedente (646mila). Un trend negativo influenzato sicuramente dalla crisi, ma anche, probabilmente, dall’utilizzo di altre modalità di inserimento lavorativo per i giovani, come gli stage (tra l’altro da poco riformati, vedi il nostro articolo), che comportano meno oneri da parte delle aziende. Il rilancio del contratto di apprendistato era già una delle sei priorità previste dal Piano Italia 2020, lanciato a settembre 2009 dai ministri Maurizio Sacconi, Maria Stella Gelmini e Giorgia Meloni, titolari rispettivamente dei ministeri del Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione e Ricerca e Gioventù. Con il Testo Unico, il Governo sembra, quindi, deciso a continuare su questa strada.

Chiara Del Priore

18 ottobre 2011

Foto di Wgreller


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